Il 24 dicembre sulla pagina FB di Africa is A Country il mio occhio resta impietrito sull’agghiacciante locandina italiana di 12 Years a Slave il film di Steve McQueen in uscita nelle sale italiane in Febbraio.
La scelta del distributore italiano relega il protagonista Chiwetel Ejiofor in un angolo dell’immagine, preferendo i visi delle star bianche: Brad Pitt e Michael Fassbender.
L’immagine della testa di Brad Pitt che sorge da un campo getta al vento anni di visual studies, studi sullo sguardo coloniale e post-coloniale e travisa il contenuto del film (nella storia Pitt è un canadese che aiuterà il protagonista nella sua lotta per la libertà). La locandina ha una fortissima componente messianica, sia come visione cattolico-paternalistica del ruolo del buon uomo bianco, sia del ruolo del divo/attore come solo veicolo di interesse del film.
La storia di 12 Years a Slave è quella della ri-conquista della libertà da parte di Solomon Northup, rapito e ridotto in schiavitù negli Stati Uniti di metà ‘800. Una storia vera raccontata nell’eponima autobiografia “Twelve Years a Slave. Narrative of Solomon Northup, citizen of New-York, kidnapped in Washington city in 1841, and rescued in 1853, from a cotton plantation near the Red River in Louisiana”.
Nella locandina che all’estero accompagna il film campeggia l’immagine del protagonista Solomon Northup/Chiwetel Ejiofor che corre, un’immagine immediata e — certo — retorica della ricerca della libertà. Nel poster italiano la silhouette che corre, in basso a destra, è sovrastata dalla testa di Samuel Bass/Brat Pitt. Anche qui la lettura è immediata, ma di una retorica razzista e anacronistica che rimanda a una concezione d’inferiorità dell’uomo nero, incapace di emanciparsi o/e vivere un’esistenza indipendente senza l’intervento salvifico dell’uomo bianco.
Frederick Douglass, una delle figure più eminenti della battaglia contro lo schiavismo disse dell’autobiografia di Solomon Northup: ”Its truth is far greater than fiction”. E Douglass sapeva di cosa parlava, schiavo, autodidatta, riuscì a liberarsi grazie alla sua intelligenza e tenacia, divenne uomo politico e alla fine della sua carriera fu ambasciatore statunitense ad Haiti, prima repubblica caraibica e sud-Americana post-coloniale indipendente.
Il problema che la locandina solleva è quello già posto da Frantz Fanon in Peau noir, masques blancs, di un sentimento psicologico d’inferiorità/superiorità alimentato ancora oggi da un linguaggio, da una cultura visiva e da politiche assistenzialistiche, cattolico-paternalistiche e occidentalocentriche e in definitiva sciaguratamente neo-coloniali.
Approfondimenti
Solomon Northup, Twelve Years a Slave, 1855
Frederick Douglass, Narrative of the life of Frederick Douglass, written by himself, 1845
Frantz Fanon, Peau noir, masques blancs, 1952
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