Credo che per avere un quadro preciso e dettagliato delle vicissitudini musicali che interessano un villaggio di circa settecento abitanti del nord Africa, Joujouka, basta leggere questo pezzo di Jace Clayton.

Sono appena tornato dal Marocco, dove, anch’io, dopo circa mezzo secolo di pellegrinaggio occidentale, ho assistito alle live session dei Master Musicians of Joujouka; il festival è organizzato dall’irlandese Frank Rynne, che dopo il 2008 – quarantesimo anniversario della prima registrazione dei master ad opera di Brian Jones, Rolling Stones – organizza ogni anno il festival al costo di 300 €, inclusi alloggio nelle abitazioni dei musicisti e vitto a base di pietanze sufi.

Joujouka o Jajouka?
L’ormai antico problema di autenticità delle due formazioni mi si è presentato già dal primo giorno, quando ho incontrato un musicista gnawa – Maalem Abdelmajid Domnati – nella kasbah di Tangeri, che ha dichiarato di esser stato invitato tempo fa a partecipare al festival di Joujouka per una notte di gnawa (liala), da un organizzatore francese, e di aver in qualche modo rifiutato, poichè aveva intuito che non si trattava della formazione di Bachir Attar (Jajouka), e dunque non era autentica*. L’unico punto di vista interno, marocchino (o forse ero io, europeo, il vero insider?), sostiene dunque il contrario di quello che ho invece appreso i giorni successivi al festival, ovvero che la vera formazione è quella di ‘Joujouka’, composta da soli musicisti del villaggio, nati e cresciuti lì, differentemente da quella di Bachir, di cui lui soltanto è originario delle Rif Mountain, e gli altri componenti sarebbero solo turnisti raccattati nelle valli circostanti per suonare in occidente**.
Altri sostengono che si siano formati i due blocchi alla morte di Bachir (e anche su questo ci sono pareri contrastanti, non sono letteralmente riuscito a capire se sia ancora in vita e residente al villaggio oppure no), poichè alcuni dei musicisti non accettarono di dover seguire il figlio di Bachir, alla guida dei master per eredità, e quindi ne formarono uno nuovo con altri musicisti.

Non intendo dare versioni reali o definitive, e mi limito a constatare come il caso Master Musician of Joujouka sia davvero emblematico per capire i meccanismi di relazione e di sguardo tra una forma tradizionale e il suo incontro con la logica occidentale; non soltanto in termini di mercato discografico e royalties, ma anche in termini culturali e soprattutto transculturali: dagli effetti applicati in post produzione da Brian Jones alle sue registrazioni, all’odierno atteggiamento dei musicisti di fronte ad un pubblico occidentale, ormai abituati a visite e a forzature da oltre cinquant’anni.
Non esiste autenticità pura, è innegabile, piuttosto si è di fronte a una forma musicale e rituale abitata dai fantasmi di mezzo secolo di scambi e risposte, in parte tutt’ora in corso, tant’è che il prossimo progetto di Frank Rynne, oltre a continuare il festival, è quello di portare i ‘veri’ musicisti in tour in Europa, producendo nuovi assestamenti e leggeri cambi di fase.

Retroscena a parte, è stupefacente l’intensità delle pipe di Joujouka, è, di fatto, un’esperienza magica, che giustifica tutte le visite, dai vari beatniks a Lee Ranaldo, da Ornette Coleman a Bill Laswell.
È incredibile come si riescano a percepire contemporaneamente sia ogni singola linea melodica, sia tutto l’insieme; da certi punti di vista è un puro esperimento di spazializzazione del suono, da destra a sinistra, a linee interrotte, poi invertite, e infine come un unico blocco, dove perdere completamente le coordinate spazio-tempo. Nulla è improvvisato, tutto è letteralmente matematico, quasi in maniera genetica, e tutto maledettamente denso.
In questo senso, l’arrivo in corsa del Boujeloud, col suo puzzo acre di montone e le frustate di rami di ulivo, è quasi una liberazione.

È un lungo loop, sfuocato, della durata di tre giorni, e che, per ora (in attesa di altre immagini, suoni e field recordings), testimonio con questa foto di Robert Hampson.

* Maalem Abdelmajid Domnati ha suonato per circa un’ora dei soli gnawa con tre differenti sintir, per me soltanto, al costo di 200 Dh (20 €), incluso un cd-r di registrazioni ‘autentiche’, differentemente dalle cassette e cd che avevo appena acquistato al suk, realizzate, mi dice Abdelmajid, per il mercato e la commercializzazione. Sottolineo inoltre la collaborazione tra Gnawa Express Tanger, la sua formazione, e i Crime, con la pubblicazione di un 7″, che mi ha offerto per 400 Dh, e dunque ho preferito abbandonare, dal momento che la trattativa – spesso un gioco, ad ogni livello sociale e commerciale – non avrebbe avuto nessun effetto per me positivo.
Vedi il mio post su Music City per scaricare una star del gnawa marocchino.


Crime / Gnawa Express – Split 7″ – Fybs Records

** Un ragazzo londinese che ha assistito al festival con me, ha detto di aver visto la formazione di Bachir dal vivo al South Bank Center di Londra, e conferma la completa distanza e inefficacia musicale dopo averli visti a Joujouka.