Verrebbe da esclamare, citando Totò, guardando questo musicista siriano della regione di Hassake, che dalle feste di matrimonio è passato ai festival di mezzo mondo e che il 15 marzo suonerà a Bologna.
Sarà, oltre alla sua storia, il suo aspetto da arabo modello, la kefiah rossa, il suo aplomb, i baffi o i perenni occhiali da sole che gli conferiscono un distacco imperturbabile. Omar Souleyman mi ricorda la fototessera di uno studio fotografico iracheno, in cui un signore posava con tanto di Ray Ban, e mi piace pensare che anche Omar Souleyman compaia così sui documenti ufficiali. Sarà che un altro musicista comparso sempre con gli occhiali da sole addosso era Ray Charles? Eppure Omar Souleyman non è cieco, anzi, ci vede benissimo.
Difficile scrivere qualcosa di nuovo su di lui. Per chi non avesse già letto nulla in proposito, è stato portato alla notorietà dallo statunitense-iracheno (o iracheno-statunitense a seconda della componente che si vuole preponderante) Mark Gergis durante un viaggio in Siria e prodotto dalla Sublime Frequencies qualche anno dopo.
Dopo la non meglio spiegata rottura con l’etichetta underground (e aroundtheworld), Souleyman ha cambiato manager e ammorbidito lo stile grezzo delle frequenze sublimi grazie alla produzione di Four Tet, il tutto non senza essere apprezzato da un’opinion leader del settore qual’è Björk. Mi sono resa conto di cosa voglia dire passare sotto l’attenzione dell’islandese più famosa al mondo dopo che, nel giro di un anno, i Micachu and the Shapes si sono trasformati dal gruppetto che ho ascoltato in una gig intima e semi deserta a Bristol ai puntini invisibili nascosti dalla folla accalcata a Glastonbury nel 2010, dove ha suonato anche Omar Souleyman l’anno successivo.
Avevo provato a scrivere qualcosa su di lui quando mi sono resa conto che i suoi video avevano scatenato su youtube discussioni tra i commentatori di origine siriana, irachena, araba e curda riguardo alla sua provenienza e di quella del genere musicale dabke. In particolare, un siriano si domandava che cosa ci trovassero gli ascoltatori occidentali in quel musicista provinciale che, nel suo paese, non conosce quasi nessuno. D’altronde alla vigilia del primo tour anche lo stesso Omar e i suoi strumentisti erano inizialmente increduli che degli stranieri potessero apprezzare il loro vecchio repertorio di canzoni da matrimonio. Dopotutto non sapevano che fino a qualche anno fa un altro gruppo di musicisti di matrimoni (e funerali) girava il mondo in tournée accompagnando un certo Goran. Ricordo un loro concerto nella mia città natale, in cui i numerosi spettatori Rom cantavano a memoria e ballavano ogni canzone, potrebbe capitare di vedere il pubblico di Omar Souleyman che balla in fila muovendo le gambe all’unisono come nei video dei festeggiamenti delle varie comunità curde?
Qualcuno ha detto a proposito delle storie che portano con sé tracce del loro uso, come gli attrezzi consumati nei punti di presa, e credo che forse si possa dire lo stesso della musica. Certo, l’esperienza e l’occasione non sono le stesse di ballare senza sosta i martellanti ritmi dabke dopo una giornata di festa, benché siamo lontani dal rimodellamento della world music, le tracce di Souleyman avevano subito un accorciamento anche nella versione grezza di Sublime Frequencies. D’altronde però, se i puristi avessero veramente voluto che Omar Souleyman non cambiasse, l’unica soluzione sarebbe stata lasciarlo stare in quell’angolo di Siria.
L’unico modo per capire cosa ci si possa trovare nella musica di Omar Souleyman è, in definitiva, andare a un concerto di Omar Souleyman e ce n’è giusto uno a Bologna il 15 marzo. Meglio andarci, prima che Mark Gergis tolga il liscio romagnolo dall’oscurità in cui è avvolto.
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