Questo video è la presentazione di una mostra e di un libro realizzati da John Goto in collaborazione con Autograph ABP. Stampe digitali ingrandite delle immagini che scorrono nel video sono state esposte per la prima volta dal 27 ottobre fino al 2 novembre presso il Lewisham Shopping Centre, un centro commerciale nella zona sud di Londra. La serie di fotografie in questione è stata realizzata da Goto nel 1977 mentre teneva un corso di fotografia serale al Lewisham Youth Center, poco lontano dal centro commerciale dove sono state esposte. Nello stesso centro giovanile era presente una dancehall dove i ragazzi fotografati si ritrovavano a ballare reggae e Lovers Rock, il genere musicale allora di moda che ha dato il nome alla serie. Queste immagini sono state esibite dopo un considerevole intervallo di tempo. A parte il fascino conferito dalla nostalgia, le storie di fotografie tenute a lungo da parte e poi riscoperti sono sempre curiose o perlomeno incoraggianti.
Oltre al lato estetico di questi ritratti, la loro semplicità e la naturalezza con cui i soggetti posano per il fotografo, l’associazione con la musica apre uno spaccato sul contesto sociale di quel preciso momento storico. I ragazzi della dancehall ritratti da Goto sono isolati dal resto per mezzo di un semplice fondale, ma la musica è un buon indizio per ricostruire quello che si trova oltre le loro spalle. Le riflessioni che seguono derivano in gran parte dalla visone del documentario The Story of Lovers Rock di Menelik Shabazz.
Il Lovers Rock non è solo quel sottogenere del reggae che si distingue principalmente per le atmosfere romantiche e le tematiche sentimentali. A parte la componente sdolcinata, l’origine del nome deriva sia da un pezzo omonimo di Augustus Pablo a sua volta scelto da Dennis Harris, John Kpiaye e Dennis Bovell come nome del loro studio di registrazione. Da allora per estensione il nome è stato usato per riferirsi a dischi simili-a Lovers Rock. Al tempo in cui Louisa Marks scalò inaspettatamente le classifiche con I caught you in a lie (che fa da sottofondo al video di Goto), questo tipo di musica non aveva ancora un nome. Dato inizialmente che non veniva passato in radio, più che essere spinto da una vera e propria industria il Lovers Rock si fece strada grazie alla cultura dei Sound System che si sfidavano promuovendo i dischi di varie tipologie di reggae in base all’immediata reazione del pubblico. Tra questi spicca l’inglesissimo nome del Saxon Studio International con base proprio a Lewisham.
Il Lovers Rock è stato anche il primo stile di reggae sviluppatosi in Regno Unito, dove le seconde generazioni di immigrati caraibici, e quelli arrivati da giovanissimi con le famiglie negli anni Sessanta, avevano meno interesse per la deriva mistica che aveva intrapreso il reggae della madrepatria. Grazie alle tematiche universali e meno dense di significati spirituali, il Lovers Rock ha preso piede trasversalmente anche tra le generazioni di ragazzi inglesi bianchi, nelle cui case la musica giamaicana aveva già fatto il suo ingresso attraverso lo ska e il calypso tramite fratelli maggiori e genitori. Per quanto apolitico, anzi proprio in virtù della sua inclusività, il Lovers Rock ha garantito maggiore visibilità alla comunità afro caraibica del suono più conscious di matrice rasta. In un clima sociale in cui i giovani come quelli ritratti da Goto avevano fatto esperienza delle più svariate forme di razzismo fin dall’infanzia, parlare d’amore era anche un modo rassicurante e curativo per fuggire dalla vita di tutti i giorni. I centri giovanili e le feste in casa rappresentavano un’alternativa sicura rispetto alle strade ed ai pub.
A pochi isolati di distanza da Lewisham, nell’inverno del 1981 avvenne il tragico episodio che rese la popolazione britannica nera consapevole dell’indifferenza delle autorità nei propri confronti: l’incendio ricordato con il nome di New Cross Fire, in cui persero la vita tredici adolescenti riunitisi per festeggiare un compleanno, ai quali si aggiunge il suicidio di un superstite profondamente traumatizzato dall’accaduto. Nonostante le cause dell’incendio rimangano ambigue da oltre trent’anni, fu il modo in cui stampa e forze dell’ordine affrontarono la vicenda a far traboccare il vaso. La polizia liquidò rapidamente il sospetto che si fosse trattato di una bomba incendiaria di stampo razzista cercando invece di avvalorare l’ipotesi che il fuoco fosse stato appiccato dall’interno durante una rissa, il tutto attraverso interrogatori in cui i superstiti ebbero la netta sensazione di essere trattati più che altro come sospetti. La causa interna fu la versione con cui la stampa cercò di far dimenticare al più presto l’incidente, nella totale indifferenza di Buckingham Palace anche di fronte a lettere anonime inneggianti all’odio razziale recapitate ai parenti delle vittime.
Per protestare riguardo al modo in cui era stata affrontata la vicenda, il 2 marzo del 1981 venne organizzato il Black People Day of Action al quale, contro ogni aspettativa, parteciparono oltre 15.000 persone. Dopo questa manifestazione pacifica di una massa difficilmente ignorabile dalle istituzioni, divenne evidente quanto potere poteva essere catalizzato in tali momenti di difficoltà. Il modo in cui la stampa liquidò la marcia come ‘rivolta dei neri’, coprendo il tentativo violento della polizia di interrompere il flusso di persone, lasciava presagire le perquisizioni a tappeto della Operation Swamp 81. Solo un mese dopo la marcia, mille fermi furono attuati a Brixton dagli agenti grazie ai poteri straordinari conferiti dalla ‘sus law’, in base alla quale pur in assenza di crimine un arresto può essere effettuato anche soltanto per comportamento sospetto. Uscire di casa oltre una determinata ora, indossare certi vestiti o semplicemente sembrare immigrati divennero motivi sufficienti per destare sospetto. Di lì a poco la tensione portò agli scontri con la polizia e le rivolte vere e proprie in numerose aree suburbane del paese.
Nonostante vi siano numerosi documenti fotografici del periodo, le foto di Goto sono diverse in quanto rappresentano i propri soggetti non come anonimi tra la folla di un party o di una manifestazione, ma in quanto persone con una propria individualità. Per questo ad un primo impatto le immagini di Lovers Rock assomigliano vagamente a quelle di uno studio fotografico. L’esposizione presso il centro commerciale di Lewisham ha permesso inoltre di dare un nome alle persone che si sono riconosciute nei ritratti, qualcuno ha perfino commentato il video su youtube.
I 37 anni che separano la realizzazione di queste foto dalla loro esposizione in pubblico sono in parte spiegabili con il crescente interesse delle istituzioni inglesi verso una rappresentazione storica che sia inclusiva delle minoranze, che al tempo sono state estromesse dai media ufficiali. Autograph ABP nasce qualche anno dopo gli eventi storici riassunti in questo post:
Established in 1988 with the mission of advocating the inclusion of historically marginalised photographic practices, Autograph ABP is a charity that works internationally in photography, cultural identity, race, representation and human rights.
In particolare il progetto The Missing Chapter, lautamente finanziato dai ricavi della lotteria nazionale, agisce in questo modo:
The Missing Chapter project aims to augment the photographic narratives of migration and cultural diversity in relation to Britain’s colonial history, and disseminate a visual heritage that is fragmented and often dislocated.
Pur essendo basato su archivi di foto storiche, il progetto mira ad un coinvolgimento diretto dei gruppi sociali attuali nell’ottica di ‘animare il passato per immaginare il futuro’. Forse un approccio simile gioverebbe anche alla situazione italiana in un momento di incertezza ed esasperazione nella gestione di flussi migratori. Qualcosa si sta muovendo, grazie ad una raccolta fondi, in uno di quelli che sono stati a lungo considerati i settori di punta della cultura italiana: il cinema. A breve quindi un post su Blaxploitalian di Fred Kudjo Kuwornu.