Giugno, il mese delle manifestazioni della fierezza omosessuale, è finito da un pezzo. All’indomani dell’estensione del matrimonio egualitario a tutti gli stati federali degli USA e il tentativo di sostituire la bandiera confederata con quella arcobaleno, degli sproloqui sul femminicidio al Family Day, della violenta repressione in piazza Taksim, del falso allarme per la bandiera dell’Isis al pride di Londra, dell’ennesimo rinvio del dibattimento sulle unioni civili in parlamento e dell’ultima istigazione omofobica al suicidio, la vera domanda è: quanto sono durati gli arcobaleni nelle foto profilo della gente sui social network?
Nel frattempo ho provato a stilare un excursus provvisorio di brani legati in modo più o meno stretto alle istanze LGBTQ (IA sono ancora in cerca), possibilmente ascoltabili e appartenenti a varie zone/culture del mondo. (Grazie a Tomboys Don’t Cry per il pretesto, rimando a Queer Culture Illustrated Guide per ogni spiegazione extra). Ne è uscito un post abbastanza lungo quindi la seconda parte sarà online lunedì prossimo. In copertina Ugaynda, da Flags of Peace di Dead Stock.
Mettendo un attimo da parte la diffidenza per le classificazioni, cosa fa di una canzone un inno LGBT? È impossibile e forzato stilare una raccolta di musicisti in base ad un’etichetta che non basta a definirli. Altre tematiche sono forse più riconoscibili?
Per esempio alla tredicesima edizione di Documenta era presente un’opera di Susan Hiller intitolata Die Gedanken sind frei (i pensieri sono liberi), una serie di jukebox e postazioni d’ascolto che raccoglievano canzoni ‘in riferimento alla libertà politica, al desiderio umano perenne di pace e giustizia’, i cui testi erano inclusi in un’installazione a parete e in una pubblicazione.
Se vogliamo andare su temi più specifici e frivoli viene in mente The Sounds of Christmas di Christian Marclay, composto dalla sua personale e sterminata collezione di dischi natalizi oltre a proiezioni delle copertine e performance.
Un progetto da prendere come modello metodologico è Seismographic Sounds, la mostra curata da Norient, menzionata durante Savana Mash. Nel caso di Seismographic Sounds, i video e i pezzi in esposizione erano selezionati da un network di giornalisti, blogger, ricercatori e artisti disseminati tra varie aree geografiche e culture. Oltre a superare i limiti linguistici questo approccio ha permesso una pluralità di punti di vista sulle sperimentazioni musicali. Il metodo è utile per distinguere quello che viene considerato sperimentale da gente del luogo rispetto a, un esempio fra tutti, quella che è reputata comune musica da matrimonio.
Prima di scomodare contatti all’estero però è meglio fare un po’ di chiarezza.
In primo luogo, per citare un celebre pensatore omosessuale: ‘il significato è l’uso’. Basta che una canzone sia usata in un contesto per ascrivere tra i suoi significati possibili anche i valori, le speranze, i simboli e le idee che appartengono a chi vive quel contesto. In questo caso si tratta di una dimensione legata al racconto di una circostanza specifica. Per quel che riguarda la sottoscritta Girls just wanna have fun e Anima mia sono canzoni queer.
Vicino a questa categoria ci sono anche le canzoni inconsapevolmente queer e camp. Il cui doppio significato era sconosciuto agli interpreti oppure quello vero è stato frainteso dagli ascoltatori. A tratti esilarante, ma il cui effetto comico è basato sulla malizia del senno di poi.
Da un forum sulle canzoni gay scritte da musicisti etero:
I always thought Disorder by Joy Division was a gay song
I always heard the opening lyrics as: I’ve been waiting for a guy to come and take me by the hand / ‘Cause these sensations make me feel the pleasures of another man
but the lyrics are actually: I’ve been waiting for a guide to come and take me by the hand / Could these sensations make me feel the pleasures of a normal man?
In secondo luogo, musicisti e generi che sono stati storicamente apprezzati dagli omosessuali. È stato scritto molto sull’importanza che ha avuto la musica disco per la visibilità e liberazione delle persone latine, nere e omosessuali (e le varie combinazioni di questi tre aggettivi) nella scena musicale. Tuttavia non ho trovato se qualcuno ha specificato fino a quanto l’associazione tra musica disco e omosessualità valesse anche in Messico e in altri paesi latino americani.
Altri generi storicamente legati all’omosessualità sono vaudeville e music hall, che ospitavano spettacoli di attori e attrici (non necessariamente omosessuali né transgender) specializzati nell’imitazione del sesso opposto. Fuori dall’ambito europeo e nord americano sono esistite tradizioni di performance di travestitismo ben più antiche come la figura di Brihannala nel Mahabarata. Di nuovo, un approfondimento più contemporaneo sarebbe necessario. Il Giappone spicca per la fama di Akihiro Miwa, noto dagli anni Cinquanta in abiti femminili e citato anche nei film di Miyazaki, che ha iniziato esibendosi in cabaret e nightclub.
Poi c’è la categoria di artisti che canta da dentro l’armadio e tutti i presunti tali, spesso idolatrati dal pubblico omosessuale sulla base dello stile, di allusioni più o meno velate o semplice apprezzamento. Sorvolando i segreti di Pulcinella italiani, una figura emblematica è la cantautrice russa Zemfira. Sebbene non si sia mai esposta pubblicamente in merito, la sua femminilità fuori dai canoni standard, qualche testo velato e le voci in merito a una presunta storia con un’attrice ne fanno una musicista associata all’identità lesbica in Russia. A tal punto che aver messo “mi piace” sulla sua pagina del social network VK è stata usata come prova per il licenziamento di un’insegnante. Ecco, compilando una lista di canzoni in odore di queer non si corre il rischio di fare outing a qualcuno, di fornire altre prove a chi aspetta di usarle per puntare il dito?
Una risposta interessante è lo stile unico di Božo Vrećo, cantante bosniaco che accompagna interpretazioni toccanti del genere tradizionale Sevdah a una declinazione personale dell’estetica queer, che il New York Times ha definito maldestramente “cross-dressing”. Un bellissimo articolo pubblicato su Balkanist racconta la sua variazione del Sevdah dall’interno, senza dichiarazioni né smentite, soprattutto grazie alla sua bravura. Rimando un approfondimento in ambito balcanico dopo questa estate.
Per il momento evito di soffermarmi nella zona grigia del sottotesto omosessuale (soprattutto lesbico) come attrazione per un pubblico maschile eterosessuale. Nonostante i presupposti fossero di questo tipo le T.a.t.u. sono citate spesso come un passaggio storico dell’accanimento russo contro le “relazioni diverse da quelle tradizionali”, almeno da quando ha sostituito quello verso i ceceni. In ogni caso video ammiccanti e canzoni che alludono più o meno velatamente a rapporti saffici non esistono solo in Russia.
Rimangono le canzoni omofobe, perché infondo insultare un bersaglio vuol pur sempre dire ammetterne l’esistenza. Solo che di solito sono già facili da trovare. Mista Majah P. invece è un musicista giamaicano residente in California che sostiene la lotta all’omofobia proclamandosi King of Tolerance. La canzone Karma ammonisce certi musicisti che diffondono odio e intolleranza ricordando le sfighe che sono piombate su di loro. Dopotutto what goes around comes around.
Per arrivare ai musicisti dichiarati, quelli che non hanno mai smentito o sono sostenitori della causa.
In Russia prima delle T.a.t.u. il duo Nochnye Snaipery composto da Svetlana Surganova e Diana Arbenina ha suonato musica acustica e folk dal 1992 al 2002 nella scena underground, per poi sciogliersi formando due progetti musicali (Nochnye Snaipery e Sugarnova and Orchestra). Surganova e Arbenina sono ancora sulle scene, su cui compaiono con un discreto look da butch di mezza età, ma non hanno mai smentito i nove anni di relazione.
Per la categoria out and proud, la scoperta musicale più incoraggiante finora sono Las Krudas Cubensi. Cubane, afrolatine, vegane, lesbiche, emigrate in Texas e spesso in tour per l’America Latina. Oltre al flow che le ha fatte apprezzare negli anni ’90 fuori dall’isola, le loro tracce hanno messaggi taglienti su femminismo e diritto all’emigrazione.
Continuando in America Latina, le Kumbia Queers hanno portato un genere popolare come la Cumbia verso nuovi orizzonti di significato, con la consapevolezza che “la Cumbia è più punk del Punk” ne hanno fatto cover delle loro canzoni preferite e l’hanno ibridata con il proprio bagaglio musicale underground. Le Kumbia Queers sono originarie dell’Argentina ad eccezione di Ali Gua Gua che è messicana.
I membri del gruppo hanno anche progetti solisti come quelli di Flor Lynera e Ali Gua Gua.
Oltre alla Cumbia il Reggaeton può contare almeno una variante lesbo:
E anche un genere folkloristico come il norteño messicano ha sfornato almeno un paio di canzoni di supporto e solidarietà.
Il Brasile invece è passato dall’inno gay al limite della satira omofobica dedicato a un Robocop Gay che spopolava negli anni Novanta, alla causa per il riconoscimento di tutte le famiglie (oltre a molto altro nel mezzo):
Fine prima parte.