Pelo Malo è un film ambientato a Caracas e girato dalla regista venezuelana Mariana Rondón che merita di essere visto per svariati motivi.

Tra questi vi è la capacità di funzionare da cartina al tornasole, trattando simultaneamente di più forme di diversità e tracciando quella linea di collegamento tra razzismo, sessismo e omofobia che troppe volte rimane invisibile. Nel corso dello svolgimento della trama molti dettagli rimangono in sospeso tra un’interpretazione e l’altra, incoraggiando proprio per questo la ricerca di varie letture. A seconda del punto di vista di chi guarda Pelo Malo, la linea finisce per calcare di più su una forma di differenza piuttosto che collegarne due o tutte quante. Oltre alla violenza di strada, di cui si sentono gli echi in sottofondo, e a quella politica trasmessa dai mezzi di comunicazione (il film è stato girato nel 2013 durante i giorni della morte di Chavez, di cui si sentono le notizie riprese in tempo reale), un’altra forma di violenza più subdola e profonda pervade il film fino al climax finale.

url

Il tutto è raccontato attraverso un pretesto narrativo semplice e delicato: i capelli crespi e afro del protagonista mulatto che fanno da titolo. Pelo malo (letteralmente capelli cattivi) è infatti un modo per indicare i capelli ricci naturali dei neri. La capigliatura, liscia o crespita, è la parte del corpo su cui vengono messi in pratica fin dall’infanzia i canoni di bellezza (e di genere sessuale) dominante, messi in discussione attraverso acconciature che si ribellano agli standard euro/etero-normativi oppure che agiscono contro la propria conformazione a colpi di aggressivi trattamenti liscianti. Non conoscendo la società multirazziale venezuelana né testi critici in materia, credo che questo concetto sia facilmente illustrabile con un paio di strisce dei Boondocks di Aaron McGruder:

boondocks-afro-denial1_e0

boodocks-afro-denial2_e0

Il secondo motivo è la colonna sonora, unicamente costituita dal primo grande successo della musica giovanile venezuelana nel 1969.

Un altro motivo è il ruolo che ha in questo film una pratica raramente raccontata cinematograficamente: la fotografia di studio popolare nel periodo di utilizzo del digitale. Tra l’ambientazione decaduta degli utopici condominii realizzati su progetto di Le Corbusier, i fotomontaggi digitali con sfondi di cascate e di concorsi di bellezza sono il palcoscenico in cui il protagonista e la sua amica visualizzano le proprie fantasie su sé stessi, prima dell’incombente inizio della scuola. Simili collage ritoccati con Photoshop sono facilmente reperibili grazie ad una rapida ricerca online, ma manca l’insieme di legami affettivi e di aspettative in cui sono inseriti, che viene invece raccontato all’interno del film.

Schermata

Tolti da questo insieme i ritratti ricadono inevitabilmente nel ridicolo e nel kitsch, ma anche nell’estetica vernacolare e nel fascino che suscitano le immagini pure staccate dal resto. Quando viene invece tratteggiato l’ecosistema di relazioni in cui queste immagini sono annidate, per dirla in termini semiotici, si arreda un mondo. Insomma, Pelo Malo racconta anche del ruolo della fotografia come occasione di autopresentazione e di foggiatura del sé, meglio di quanto un saggio accademico possa fare.